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“C’è una legge per i mortali, ma non per i residenti di Alphaville” Scrive Teresa Caldeira riferendosi ad uno dei distretti residenziali più famosi alle porte della città San Paolo, in Brasile. Alphaville si estende su una vasta superficie, progettata da una società di costruzione nel 1970, fu la realizzazione di un’utopia. Di conseguenza all’aumento del tasso di criminalità, la congestione di un traffico fuori controllo ed altre forme di disagio urbano, Alphaville, “la prima città”, guadagnò velocemente popolarità e popolazione , sia per le moderne imprese industriali e commerciali sia per i ricchi di medio-alto livello che divennero in poco tempo residenti del distretto. Cura alle imperfezioni di una megalopoli sconfinata Alphaville contiene 33 aree recintate migliaia di telecamere di sicurezza, km di cavo ad alta tensione, siti residenziali palestre aziende, scuole e università. Camminarci all’interno ti fa sentire un bambino al sicuro, o un’ostaggio di un set cinematografico, dipende, come sempre, dal punto di vista.
Era l’estate del 1984 negli Universal Studios di Los Angeles, erano gli anni in cui il cinema Holliwoodiano immergeva tutti noi bambini in quella dimensione spettacolare e avventurosa, gli anni in cui viaggiare negli Stati Uniti significava realizzare un sogno, bucare quel limite, apparentemente invalicabile, fra realtà e fiction. Fu allora, durante quel viaggio di famiglia tanto desiderato che feci la mia prima esperienza di virtuale. Nella stanza di ingresso di un percorso guidato alla scoperta degli effetti speciali dei film più popolari, si alzava una pedana in ferro su cui si poteva salire a turno per accedere ad una bicicletta rossa montata su un grosso perno. Di fronte una telecamera riprendeva la scena per poi riprodurla al di là della pedana, molto più in alto in un grosso schermo cinematografico che tutti i presenti, dal basso, potevano osservare. E così eccomi lì, ET, la foresta di Redwood, la luce di una luna enorme attraversata dalla mia sagoma, e il cuore in gola. Non era la mia ombra, affatto, ero proprio io, il mio corpo e quella bicicletta da bambino. Così, la mia prima esperienza di virtuale coincise inevitabilmente con la prima volta in cui riconobbi altrove la mia sagoma che portava in se tutta la sua identità di quell’istante, quella di una bambina in viaggio intenta a credere in un sogno.
Ma che cos’è la tecnologia oggi se non la realizzazione di quei sogni, i sogni degli antichi maghi di dar vita all’inanimato, teletrasportarsi in luoghi incantati, rendere immateriale la materia e assumere il controllo del mondo delle idee? La tecnologia che seduce, che rassicura che rende onnipresenti, che mi permette in questo momento di volare indisturbata sulla tratta San Paolo-Milano godendo senza sosta dei servizi di intrattenimento multimediali dai centinaia di contenuti capaci di non farmi sentire qui, a 10300 m di altitudine sopra l’Oceano Atlantico. Ne qui, ne altrove, la tecnologia ci porta in un posto che non appartiene a questa terra, ci libera dalla malattia, dal bisogno, ci toglie la fame e la sete, ci inebria gli occhi della sua luce, ci mostra il regno di Dio.
Non ci vuole poi tanto a pensare come siano i nostri impulsi mistici primordiali a dar vita e a sostenere l’ossessione del nostro mondo per la tecnologia, e come di conseguenza la nostra cutura ipertecnologica si diriga come una falena gigante verso i bagliori di questa grande illusione, sbattendo le sue ali attraverso terre di nessuno, sospesa fra la vita organica e quella sintetica, tra ambienti reali e virtuali. Da bambina del resto, credevo a Dio e agli effetti speciali Holliwoodiani con la stessa identica fede, oggi mi affido a un Airbus A330 per riprendere la strada di casa. Mi chiedo da allora che cosa sia cambiato? Quale sia oggi la vera terra promessa? Il distretto di Alphaville iperprotetto e ipertecnologico fortificato in mezzo all’inferno o la Gerusalemme del libro della genesi? Forse, semplicemente, le due realtà coincidono. La chiamata biblica ed il progresso con le sue eterne promesse di libertà sicurezza e prosperità.
E’ dunque da qui che ho deciso di ripartire, dal sogno di E.T. al distretto di Alphaville passando attraverso a tutto ciò che è stato e scavando sotto la superficie luccicante dell’era virtuale per individuarne gli archetipi, gli aspetti metafisici provando a segnare una rotta all’interno di questo infinito metaverse che ci sta inghiottendo in tanti, lungo tutta la rete mondiale. E’ alla luce di questo sguardo per la magia nascosta sotto lo spirito tecnologico del nostro tempo che ho trovato la strada, quell’anello di congiunzione fra la terapeutica artistica e la tecnocultura che invade oggi, e plasma, la nostra natura creativa.
San Paolo- Milano